[…]
L’avevo invitata a cena, più per ammirazione che per reale volontà di corteggiarla.
L’avevo fatto con leggerezza ed eleganza, certo del suo diniego.
Incredibilmente aveva accettato; ci eravamo dati appuntamento a una certa ora davanti al ristorante di un paese vicino, nel quale ero già stato un paio di volte, e del quale mi ricordavo una graziosa panchina verde, sotto un tiglio secolare, che permetteva allo sguardo di spaziare sulla valle circostante. Se non viene almeno guardo il panorama mi ero detto.
Arrivammo quasi contemporaneamente, lei in taxi, io a piedi, un po’ sudato. Avevo lasciato la macchina distante perché era scassata e sporca e, a essere sinceri, mi vergognavo che mi vedesse arrivare dentro quella.
Prendemmo posto, ordinammo à la Carte.
Il vino, invece, pur potendolo scegliere tra le molte etichette della lista, ce lo lasciammo consigliare dal cameriere. Quando lo portò lo assaggiai distrattamente, annuii e provai a instaurare un qualche tipo di conversazione con la bella e misteriosa ragazza.
Ma successe qualcosa di strano: non riuscivo a trovare un solo argomento intelligente, uno spiraglio di fantasia che potesse interessarla. Il cervello girava alla disperata ricerca di qualcosa di spiritoso, ma … niente!
Lei era nel mio stesso impaccio, glielo leggevo negli occhi; stava furiosamente cercando qualcosa di non banale da dire ma, anche lei, era impigliata e inciampava nei suoi stessi mozziconi verbali. Era una situazione imbarazzante e penosa che pareva immalinconire anche la tranquilla atmosfera del ristorante e lo stesso gestore.
Fu a questo punto che avvenne il miracolo. Con la stessa disperazione di un naufrago che si aggrappa a una boa di salvataggio, allungò la mano verso la bottiglia, la prese dicendo: vediamo cosa ci hanno portato e, nel farlo, lesse il nome scritto a caratteri corsivi sull’etichetta.
Lo lesse, lo rilesse con una voce così suadente che mi fece squagliare, aggiungendo che bel nome, lo conosci?
No dissi, mai sentito.
Nemmeno io aggiunse e, nel dir questo, girò la bottiglia, leggendo ad alta voce:
prodotto nella particella fondiaria numero, conosciuta come, nel comune di, dove sarà questo posto?
Dev’essere un luogo sul mare. Riassaggiai il vino e sentenziai: certo, certo, questo vino è prodotto con uve coltivate su di un ripidissimo pendio, esposto a sudovest, in riva al mare, sicuro!
Lei mi sorrise e io ricambiai felice, sono un genio pensai ma lei riprese a leggere:
altitudine 520 m/slm all’interno di un vulcano spento nell’Appennino … e aggiunse il nome di una regione italiana.
Continuò a sorridere, brindammo e lei rise ancora; adoro le persone che non amano la perfezione pensai.
E fu così che cominciammo una conversazione che durò ininterrottamente fino all’alba, nella quale rispondemmo a molte domande esistenziali.
Ammirammo il sorgere del sole attraverso i vetri luridi della Renault che avevamo raggiunto dopo che, a notte fonda, il trattore, con gentilezza ma fermo, ci aveva detto: i signori non si offendano ma il locale a quest’ora di solito sarebbe già chiuso da parecchio, i grappini li offre la casa.
Ci salutammo in un bar, dopo i cornetti e il cappuccino, così, con naturalezza, ringraziando il destino d’averci fatto incontrare.
Lei partiva! Non le chiesi né dove andasse né se ci saremmo rincontrati; non glielo chiesi perché, dentro di me, ero certissimo che sarebbe successo. Invece non accadde e non ci vedemmo più, né più ci sentimmo.
Ogni tanto mi ritorna in mente, e anche questo che ho scritto l’ho fatto per dare un po’ di sfogo alla nostalgia ma, a essere sincero, non mi ricordo più il suo nome e, a volerlo essere fino in fondo, ammetto che il nome della bottiglia, invece, me lo ricordo perfettamente!
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━ Gianpaolo Girardi
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